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Il funerale del carnevale a Contovello/Kontovel (TS)

 

    Sul Carso triestino, a Contovello/Kontovel (Prosecco), dove il dialetto della città entra in contatto con le comunità di lingua slovena, il Mercoledì delle Ceneri si celebra il funerale di Jože, il carnevale. 

L’azione ha inizio in un locale comunitario dove viene allestita nel primo pomeriggio la camera ardente; i paesani accorrono curiosi a vegliare le spoglie terrene del povero Jože disteso su una portantina, circondato dagli oggetti a lui cari e dominato dalla foto del potente politico di turno. Tutti aspettano la Vedova: un personaggio straordinario di Contovello che sembra aver introiettato lo spirito carnevalesco e che da più di trent’anni recita con maestria questo ruolo. Contribuiscono a rendere ancor più partecipata la scena un Monsignore, un gruppetto di improbabili suore, il sacrestano, lo scaccino e i portantini che aspettano fuori assieme alla banda. La Vedova improvvisa  una mescolanza di litanie in latino e di scoppiettanti battute in dialetto triestino e in sloveno. La seconda parte della cerimonia è invece itinerante: la parodia del corteo funebre è aperta da dei pitali montati su delle aste, seguono Jože portato a spalle e la Vedova, che tra un sorso e l’altro di “melissa” (così dice lei), racconta le virtù ed i vizi del marito. Lungo le vie del paese il gruppo si ferma davanti ad ogni osteria; escono premurosi ed affranti gli osti, e tra i più “commossi” è il gestore di un ristorante arabo specializzato in Kebab e Merghez! Il viaggio di Jože termina nei pressi di un laghetto; qui la salma viene bruciata e traghettata verso il centro della pozza, mentre delle ragazze della compagnia passano in questua tra la folla con dei fustini di detersivo “Dash”, trasformati in cestini per l’elemosina; vi campeggia, esplicita, la scritta “Dash or ali daš?”,  «Allora, dai o non dai?».

Un’interpretazione etnologica classica “legge” nel processo al fantoccio del carnevale, i cui capi d’imputazione sono spesso comportamenti comuni e diffusi, la possibilità per una comunità di metabolizzare fatti e accadimenti percepiti come pericolosi per l’identità e la solidarietà collettiva. La familiarità con cui viene trattato il fantoccio conferma in molti casi quest’ipotesi, com’è per Contovello, dove non assume il nome generico di “Carnevale”, ma quello più familiare e quotidiano di Jože.

     In ambito regionale, per questo e per altri aspetti le comunità slovenofone appaiono maggiormente conservative; basti ricordare il rogo del Bäbac a S. Giorgio in Val Resia, il processo del Pust a Clodig (Grimacco) nelle Valli del Natisone, il funerale del carnevale a Doberdò del Lago, nel Carso isontino. Un tempo, fino agli anni Sessanta, il processo, la condanna a morte e l’esecuzione del carnevale (sparato, bruciato, gettato da una rupe, e altro) era parte integrante del rituale e segnava il confine tra i tempi “grassi” appena trascorsi e quelli che di lì a poco sarebbero seguiti: “magri”, penitenziali, di quaresima; guardie di questo confine erano il maiale (in tutte le forme della sua trasformazione in cibo: salami, salsicce, lardo) e l’aringa, stopposa e scheletrica, che preparava alla stagione dei digiuni comandati dalla religione e obbligati dal ridursi delle riserve alimentari. Ma il funerale del carnevale si porta dietro, aldilà della declinazione dialettale in cui trova o trovava rappresentazione, l’eredità artistica del teatro di strada, dei Contrasti tra Carnevâl e Cresime, delle Sacre Rappresentazioni, degli ironici strîts (scenette) recitati o meglio “lanciati”al pubblico stando nascosti dietro la maschera di legno. Tra le forme di teatro popolare che ancor’oggi si rappresentano in regione ci sono a Remanzacco il Contrast tra Bocâl e Cresime e la Cantada di Sior Anzoleto a Monfalcone, i testi recitati a chiusura della mascherata di Orsaria (Premariacco), della cui origine si trova traccia già in una nota di spesa del locale Libro dei Camerari in data 1596. Molte altre rappresentazioni, che non erano inserite in performance collettive di successo, come le sfilate dei carri, non hanno avuto modo di arrivare fino ai nostri giorni. Di esse spesso rimane solo il ricordo, qualche manoscritto, dei fogli sparsi o dei versi mandati a memoria da qualche anziano. È il caso di Preone (Carnia), dove Tete leggeva il test/testamento di carnevale.

 

 

    

 

 

CANALE DEDICATO

Le rappresentazioni carnevalesche assumevano e assumono dunque varie forme. C’è quella del processo,  istruito ironicamente sul modello dei tempi e ruoli di quelli veri (come Prossenicco di Taipana); c’è la forma del “contrasti” tra le due figure cardine del Carnevale e della Quaresima; c’è l’imitazione comica di una situazione più privata, come la  disputa matrimoniale; c’è anche la rappresentazione di una vera e propria visita medica, come succedeva in Carnia, ad Ampezzo, dove  il corpo dil Carnevale era oggetto di un vero e proprio esame autoptico; dal fantoccio veniva estratto, davanti agli occhi esterrefatti dei presenti, ogni genere di oggetti: una sveglia rotta al posto del cuore, dei budelli di bicicletta al posto dell’intestino, le immancabili collane di salsicce. Alla fine di questo attento esame il medico stilava una mortis causa, ammonendo i presenti sui loro comportamenti futuri. 

    Sul Carso i carnevali erano e restano vivi. Essi trovarono, a partire dal 1957, la loro rappresentazione corale nel carnevale di Opicina/Opčine. Nella sua prima edizione, la manifestazione era strutturata in tre parti: c’era la sfilata, che muoveva da Pikel’c fino a piazza Brdina, e c’erano l’incoronazione di Re Carnevale e il ballo serale. La prima edizione di quel carnevale collettivo fu vinta proprio dal gruppo di Contovello, quando ancora non esistevano trattori ed i carri venivano trainati da una coppia di buoi. La struttura della manifestazione, eccezion fatta per il ballo, è quella che ancora oggi si ripete di anno in anno; questa straordinaria festa collettiva è diventata anche un’occasione per mettere in piazza i problemi che affliggevano le comunità carsoline. 

    Anche a Muggia/Mujjia il funerale del carnevale è la parte conclusiva del rituale; esso è realizzato da ogni compagnia che partecipa alla sfilata: si celebra a Santa Barbara per la Compagnia del Lampo, tra i rioni e poi in mare per quella de l’Ongia, nel Borgo di Zindis per quella dei Mandrioi

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